Il termine biomonitoraggio umano si riferisce alla misurazione diretta di sostanze chimiche tossiche (o dei loro metaboliti) all’interno del corpo umano, ovvero nel sangue, nelle urine, nei capelli o nel latte materno.
In realtà, come precisa l’Istituto Superiore di Sanità (ISSalute) «con il biomonitoraggio umano si passa da una stima dell’esposizione ambientale alla misurazione diretta di un contaminante nocivo nell’organismo umano».
Pronto a scoprire cos’è il biomonitoraggio umano, cosa sono i bioindicatori e perché questi si rivelino particolarmente utili per la prevenzione della salute? Iniziamo!
Indice dei contenuti
Che cos’è il biomonitoraggio umano?
Meglio noto con l’acronimo HBM (human biomonitoring), quest’approccio nasce dall’assunto che l’esposizione ambientale ad agenti tossici avvenga attraverso più vie (inalazione, ingestione, contatto cutaneo) e da più fonti (aria, acqua, alimenti, prodotti di consumo). Il biomonitoraggio, pertanto, consentirebbe di ottenere un dato più completo: la dose interna, cioè la quantità effettivamente assorbita dall’organismo.
Un’altra definizione è quella data dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA): «Misurazione diretta della quantità di composti chimici tossici presenti nell’organismo»; spesso queste misurazioni vengono effettuate utilizzando sangue e urine.
In breve, il biomonitoraggio umano è uno strumento che affianca le tradizionali analisi strumentali, consentendo di:
- determinare la dose interna delle sostanze nocive;
- confrontare i livelli di esposizione tra diverse popolazioni;
- identificare sostanze per le quali è prioritario ridurre l’esposizione;
- valutare l’efficacia delle misure adottate per proteggere la salute umana (come, ad esempio, le restrizioni legislative su un composto).
Cosa sono i bioindicatori?
I bioindicatori sono organismi viventi o sistemi biologici semplici utilizzati per valutare la qualità di un ambiente o l’effetto di uno stress su quest’ultimo, grazie alla loro risposta a sostanze inquinanti o a condizioni alterate.
I bioindicatori non sempre appartengono all’organismo umano. Ad esempio, piante, licheni, muschi o invertebrati possono essere usati come bioindicatori dell’inquinamento atmosferico o idrico.
Nell’ambito del biomonitoraggio umano, invece, possiamo indicare come bioindicatori alcune sostanze, tra cui i metalli pesanti; questi rappresentano un agente chimico-fisico proveniente dall’esterno e non un marcatore biologico interno.
Perché il biomonitoraggio è strategico?
Le ragioni per cui il biomonitoraggio umano merita attenzione sono molteplici:
- prevenzione: misurare l’esposizione agli agenti tossici permette di anticipare potenziali effetti nocivi per la salute e d’intervenire in tempo;
- politiche regolatorie: attraverso il biomonitoraggio si può verificare se le misure legislative adottate per ridurre l’esposizione agli agenti tossici (ad esempio, negli alimenti) hanno sortito effetto;
- consapevolezza: le informazioni ricavate dal biomonitoraggio umano possono sensibilizzare cittadini e decisori politici sull’importanza della riduzione dell’esposizione a sostanze nocive.
Uno strumento imprescindibile per la prevenzione della salute
In un’epoca in cui l’esposizione agli agenti tossici è ubiqua (se ne ha traccia nei prodotti di consumo, nell’aria, nell’acqua, negli alimenti, ecc.) il biomonitoraggio umano si configura quale strumento imprescindibile per tutelare la salute individuale e collettiva.
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